Emergenza coronavirus: effetti sui contratti commerciali pendenti
11 Mar

Emergenza coronavirus: effetti sui contratti commerciali pendenti

L’epidemia è una causa di “forza maggiore” che rende legittimo non adempiere il contratto? Qual è la sorte del contratto rimasto inadempiuto?

 

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Il drammatico evolvere della situazione originata dall’epidemia di coronavirus sta facendo sorgere anche una serie di problematiche di natura legale in relazione alla sorte dei contratti commerciali allo stato pendenti e di cui è diventato impossibile, o quanto meno eccessivamente oneroso, l’adempimento.

Negli ultimi giorni diversi clienti si sono rivolti al nostro studio ponendo il medesimo quesito: l’epidemia da coronavirus costituisce una causa di “forza maggiore” che rende legittimo non adempiere il contratto? Qual è la sorte del contratto rimasto inadempiuto? Se sono stati anticipati dei pagamenti per la prestazione di servizi che non possono più essere erogati nell’attuale contesto, vi è o no il diritto del soggetto che ha corrisposto tali somme ad ottenerne la restituzione?

Cerchiamo di fare un po’ di chiarezza.

Premessa d’obbligo è che, al fine di dirimere una controversia di questo tipo, è innanzitutto necessario verificare se nel contratto tra le parti la fattispecie sia stata espressamente disciplinata: in tal caso, la clausola contrattuale (ove naturalmente non sia affetta da elementi di invalidità) assume una vera e propria valenza di forza di legge tra le parti, finendo con il prevalere su quanto previsto dal nostro ordinamento civile.

Ciò posto, è opportuno evidenziare che nell’ordinamento civile italiano non è in realtà né prevista né tantomeno disciplinata la nozione di “causa di forza maggiore” (fatto salvo per quanto previsto dal Codice del Turismo in tema di vendita di pacchetti di viaggio).

Nel caso in cui un contratto rimanga inadempiuto in ragione di una causa esterna di grave portata, estranea alla volontà e/o comunque alla sfera di controllo delle parti, la relativa disciplina di riferimento va dunque rintracciata nelle norme che regolano le conseguenze dell’inadempimento del contratto per impossibilità sopravvenuta ed eccessiva onerosità , segnatamente gli artt. 1256, 1467 e 1672 codice civile.

Nello specifico, l’ art. 1256 cod. civ. afferma che l’obbligazione si estingue quando, per una causa non imputabile al debitore, la prestazione diventa impossibile. Se l’impossibilità è solo temporanea, il debitore finché essa perdura, non è responsabile del ritardo nell’adempimento.

L’ art. 1467 cod. civ. , dettato in tema di contratto in generale, prevede che nei contratti a esecuzione continuata o periodica (si pensi per esempio alla fornitura su base continuativa di merci o servizi), ovvero a esecuzione differita (si pensi ai contratti di vendita che prevedono una consegna posticipata di beni), se la prestazione di una delle parti è divenuta eccessivamente onerosa per il verificarsi di avvenimenti straordinari e imprevedibili (quale può essere l’epidemia di coronavirus), la parte che deve tale prestazione può domandare la risoluzione del contratto (fermo l’obbligo di darne tempestiva comunicazione alla controparte), salvo il caso in cui la sopravvenuta onerosità non rientri nell’alea normale del contratto. La norma ha cura ancora di precisare che parte contro la quale è domandata la risoluzione può evitarla offrendo di modificare equamente le condizioni del contratto.

In altri termini, il contraente che non sia in grado di adempiere alle proprie obbligazioni contrattuali a causa dell’emergenza coronavirus, al fine di sottrarsi da ogni responsabilità a fronte dell’inadempimento, avrà l’onere di darne tempestiva comunicazione alla controparte, intimando la risoluzione del contratto per l’eccessiva onerosità sopravvenuta e/o la sopravvenuta impossibilità della prestazione (ciò solo nel caso in cui la prestazione sia divenuta non solo temporaneamente ma definitivamente impossibile).

A quel punto la controparte contrattuale avrà in sostanza due alternative:

– accettare la risoluzione del contratto, dando corso alle reciproche restituzioni;
– offrire al partner commerciale di modificare equamente le condizioni del contratto, al fine di adattarle nel concreto alla imprevista situazione venutasi a creare. A nostro avviso, quest’ultima è senz’altro la soluzione da preferirsi in un’ottica di buona fede e correttezza contrattuale, nonché nella prospettiva di minimizzare i danni per tutti gli operatori economici coinvolti e consentire al nostro paese di ripartire una volta passata l’emergenza.

Ciò chiarito, occorre tuttavia fare una precisazione per l’eventualità che il contratto in essere risulti inquadrabile nella fattispecie dell’appalto, piuttosto che nell’alveo della comune compravendita.

In tal caso troverà applicazione l’ art. 1672 cod. civ. , che prevede che se il contratto si scioglie perché l’esecuzione dell’opera è divenuta impossibile in conseguenza di una causa non imputabile ad alcuna delle parti, il committente deve pagare la parte dell’opera già compiuta, nei limiti in cui è per lui utile , in proporzione del prezzo pattuito per l’opera intera.

In altri termini, il fatto che si verifichi un evento esterno che determini il venir meno dell’interesse del committente – creditore a ricevere la prestazione dedotta in contratto (benchè essa rimanga in tutto o in parte eseguibile dall’appaltatore, risultando tuttavia non più utilizzabile e/o utile per il cliente), comporta secondo consolidata giurisprudenza l’estinzione del rapporto obbligatorio derivante dal contratto per sopravvenuta irrealizzabilità della sua causa concreta, con conseguente venir meno dell’obbligo delle parti di dare corso alle rispettive obbligazioni.

La dottrina che ha commentato l’art. 1672 cod. civ. ha rilevato che mediante tale disciplina il legislatore ha valorizzato al massimo grado la tutela degli interessi del committente della prestazione, posto che, nell’ipotetico caso in cui l’opera realizzata non sia di fatto di alcuna utilità per quest’ultimo, tutti gli oneri e le spese rimangono di fatto a carico dell’appaltatore, in ossequio al principio del rischio di impresa.

Merita infine un ultimo cenno la questione attinente ai contratti internazionali.

Sul punto, fonte normativa di primaria rilevanza è rappresentata dalla Convenzione di Vienna che, all’art. 79 in tema di vendita internazionale di beni mobili, detta in sostanza il principio che una parte contrattuale non possa essere ritenuta responsabile di inadempimento delle proprie obbligazioni qualora incorra in un impedimento non previsto e non prevedibile, effettivamente al di fuori della sfera di controllo delle parti ed al quale non è dato opporsi, con l’effetto rendere per un certo lasso di tempo impossibile la realizzazione della prestazione contrattuale, sino a quando l’evento di forza maggiore non cessi di produrre i suoi effetti.

Ad ogni buon conto, è opportuno rilevare che generalmente i contratti internazionali prevedono una clausola espressa in tema di “cause di forza maggiore”, spesso ricalcante i modelli negoziali pubblicati dalla Camera di Commercio Internazionale, che di solito disciplina anche espressamente la procedura tesa a comprovare oggettivamente la sussistenza di ipotesi di forza maggiore, individuandone i possibili effetti e conseguenze.

Ciò posto, in relazione alla questione che ci occupa andrà innanzitutto valutato (in primo luogo alla luce del testo contrattuale, e subordinatamente in base alla legge) se l’epidemia da coronavirus attualmente in corso possa costituire nel concreto una causa di impedimento oggettiva tale da rendere impossibile in tutto o in parte la prestazione dedotta in contratto: contrariamente a quanto si possa pensare, questo non è un passaggio del tutto scontato, posto che la prestazione contrattuale potrebbe rimanere ben possibile, sebbene maggiormente difficoltosa e/o onerosa.

È ad ogni modo opportuno puntualizzare che rimane sempre fermo l’onere del contraente inadempiente, al fine di evitare di essere responsabile per l’inadempimento, di informare formalmente in modo tempestivo e circostanziato la controparte circa le cause legate all’evento di forza maggiore che nello specifico rendono impossibile l’esecuzione della prestazione contrattuale.

A questo punto, e fermo quanto previsto in modo espresso dal singolo contratto, potranno profilarsi i seguenti scenari, volti ad addivenire ad una soluzione della potenziale controversia:

– rinegoziazione dei termini contrattuali in buona fede tra le parti;
– ricorso ad una procedura arbitrale, al fine di imporre alla controparte la revisione dei termini contrattuali; sospensione delle obbligazioni contrattuali (soluzione che ben si adatta in particolare ai rapporti continuativi di fornitura, anche al fine di preservare il rapporto commerciale);
– definitiva risoluzione del contratto.

Così sommariamente ricostruito il quadro generale, ci preme rammentare che i principi astratti sopra delineati vanno naturalmente calati e declinati nell’ambito del singolo rapporto contrattuale, tenendo in debita considerazione gli elementi di fatto e di diritto che caratterizzano nel concreto la fattispecie.